Roma 16 Ottobre 2009(Corsera.it)di Matteo Corsini
Se il patto con il Diavolo c'è stato,l'orologio della strategia criminale nella collusione con lo Stato italiano , si ferma proprio tra i due omicidi eccellenti,quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il famoso Papello dei boss della Mafia è arrivato nelle mani dei giudici,perchè il figlio dell'ex Sindaco di Palermo Vito Cianciamino,l'ha custodito come un reliquia,forse immaginando che un giorno lo avrebbe consegnato alla storia.Il Papello dunque,quel patto scellerato con il Diavolo,che indicava in alcuni ...
....uomini dello Stato potenziali interlocutori dei Mafiosi guerrafondai dell'epoca,quelli che stroncarono la vita dei grandi Giudici Falcone e Borsellino.Si indica come uno dei potenziali interlocutori proprio Virginio Rognoni, l'ex Ministro della Difesa,che anteporrebbe l'inizio della trattativa esattamente tra la morte di Falcone e quella di Palo Borsellino.
Fonte Il Corriere della Sera. PALERMO — Le condanne definitive nel maxi-processo di Palermo arrivarono a gennaio del 1992, e da lì si scatenò la vendetta di Totò Riina contro lo Stato. A marzo fu assassinato Salvo Lima, a maggio saltò in aria Giovanni Falcone, e dopo la strage di Capaci la cancellazione di quel verdetto timbrato dalla Cassazione viene messa al primo punto delle richieste mafiose allo Stato per fermare l’offensiva terroristica.
«1 - Revisione sentenza maxi- processo» è scritto in cima al papello finito nelle mani dell’ex sindaco corleonese di Palermo, Vito Ciancimino, e consegnato ai carabinieri del Ros (il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno) che andavano a fargli visita per carpire notizie utili alla cattura dei latitanti. Almeno nella loro versione. Secondo Massimo Ciancimino invece, figlio di «don Vito» e principale testimone di questa vicenda, gli ufficiali dell’Arma avevano avviato con suo padre una vera e propria trattativa, dopo Capaci e prima della strage di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino, il 19 luglio ’92. Pure questo è un punto in cui le ricostruzioni non coincidono, uno dei nodi cruciali dell’indagine in corso a 17 anni dai fatti. A riprova di quello che racconta, Ciancimino jr ha fatto avere l’altro giorno ai pubblici ministeri di Palermo una fotocopia del famigerato papello.
È un foglio di carta bianco, con dodici punti scritti a mano, in stampatello, senza errori di ortografia tranne uno (fragranza invece di flagranza), con calligrafia chiara. Che non sembra quella di Riina, né di Bernardo Provenzano. Secondo i racconti del giovane Ciancimino, lui lo ritirò chiuso in una busta, in un bar di Mondello, dal medico condannato per mafia Antonino Cinà. Lo portò a suo padre e poi lo rivide nelle mani del misterioso «signor Franco», o «Carlo», l’uomo mai identificato dei servizi segreti o di qualche altro apparato che pure partecipò alla trattativa. L’intermediario disse a Vito Ciancimino che poteva andare avanti, e l’ex sindaco ordinò al figlio di combinare un altro appuntamento con Mori e De Donno. A loro diede il papello, e a riprova di ciò — sempre secondo Ciancimino jr — sull’originale del documento è applicato un post-it scritto a mano dal padre dove si legge «Consegnato in copia spontaneamente al col. Mori, dei carabinieri dei Ros». I magistrati non hanno ancora l’originale, e per adesso studiano il contenuto della fotocopia giunta via fax all’avvocato di Massimo Ciancimino, che l’ha portata in Procura. Dopo il maxi-processo i mafiosi si preoccupano di abolire il «41 bis» che prevede il «carcere duro» per i mafiosi, la revisione della legge Rognoni-La Torre e di quella sui pentiti.
Poi, al punto 5, compare un argomento che solo anni dopo sarà trattato dai boss di Cosa Nostra, come possibile via d’uscita dagli ergastoli: «Riconoscimento benefici dissociati (Brigate rosse) per condannati di mafia». Con evidente riferimento alla legge fatta per gli ex terroristi. È strano che già se ne parli nel ’92, quando i capi sono tutti latitanti, ma questo risulta dal papello. Al punto 7, dopo la richiesta degli arresti domiciliari per gli ultrasettantenni, s’invoca la chiusura delle carceri speciali. Poi ci si concentra sui rapporti con i familiari: dalla detenzione vicino alle abitazioni delle famiglie all’esclusione della censura della posta, fino all’esclusione delle misure di prevenzione per mogli e figli. C’è poi la proposta di procedere all’arresto «solo in fragranza di reato », come se le manette potessero scattare durante una riunione tra mafiosi o subito dopo l’esecuzione di un omicidio, mai in altri casi. Una sorta d’immunità per i boss, come per i parlamentari.
Con l’ultimo punto ci si preoccupa di tutt’altro argomento: «Levare tasse carburanti, come Aosta ». Improvvisamente, dalle condizioni di vita dei detenuti (e dei loro parenti) e dalle riforme del codice penale, si passa a questioni economiche come la defiscalizzazione della benzina. E insieme al papello Massimo Ciancimino ha consegnato alcuni fogli manoscritti dal padre dove, fra varie argomentazioni di tipo politico- programmatico, si cita l’abolizione del monopolio del tabacco. In quelle carte compaiono anche i nomi di Nicola Mancino e Virginio Rognoni. Il primo divenne ministro dell’Interno il 1¢ª luglio 1992, il secondo fu ministro della Difesa fino a quella data. Entrambi hanno sempre detto di non aver mai saputo nulla della «trattativa» con la mafia, ma il riferimento a Rognoni viene considerato dagli inquirenti un altro indizio che il confronto tra lo Stato e i boss (tramite l’ex sindaco di Palermo) sarebbe cominciato dopo la strage di Capaci ma prima di quella di via D’Amelio. E che forse Paolo Borsellino morì anche perché era diventato un ostacolo da rimuovere.
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