Roma 17 Febbraio 2010 (Corsera.it)
La Repubblica a firma di Paolo Berizzi.FIRENZE - Un imprenditore di Cosa Nostra che arriva a Palazzo Chigi. Un giudice, Giuseppe Tesauro, in società con un funzionario ministeriale e anche imprenditore legato al clan dei Casalesi. Un commercialista mafioso, Pietro Di Miceli, che fa da mediatore con la Provincia di Frosinone per procurare un appalto a Riccardo Fusi, presidente di Btp. Ecco lo scenario che emerge dal rapporto del Ros dei carabinieri allegato all'inchiesta
fiorentina sui grandi appalti della Protezione civile.Tutto o molto ruota intorno alla figura di Antonio Di Nardo - considerato vicino al clan dei casalesi - al quale si lega anche il personaggio più scomodo delle storie ricostruite dagli investigatori. Quello che in una telefonata sostiene di essere stato "alla presidenza del consiglio". Lui è Mario Fecarotta, imprenditore affiliato a Cosa Nostra e legato, in particolare, alla famiglia Riina, arrestato nel 2002 per mafia e per estorsione aggravata (una mazzetta da 500 milioni). I rapporti con Di Nardo diventano "espliciti" il 27 gennaio 2009. E' Fecarotta a chiamare: "Antonio carissimo... e allora domani a mezzogiorno e mezzo siamo lì al Ministero ok?". Il ministero è quello delle infrastrutture. Fecarotta: "va bè all'una... all'una ci vediamo.. ti aspettiamo lì fuori...". Non è chiaro, dai brogliacci, se i due si incontrano fuori o dentro il palazzo. Fecarotta e Di Nardo si risentono il 29 gennaio, a incontro avvenuto. E' qui che entra in ballo la Presidenza del Consiglio. Dice l'imprenditore mafioso: "... no è importante perché poi il 25 abbiamo ... fra il 10 e il 25 abbiamo questa cosa.. poi siamo stati pure da Gianfranco lì.. alla... Consiglio.. alla Presidenza del Consiglio e abbiamo due appuntamenti in Sicilia in questa settimana abbastanza importanti.. tu devi vedere con quell'amico tuo...". A quale Gianfranco si riferiscano non è specificato. Un voluminoso dossier giudiziario sulla nuova mafia corleonese contiene il virgolettato di una vecchia telefonata tra Fecarotta e l'allora viceministro dell'economia Gianfranco Micciché. E' l'11 giugno 2001. Fecarotta, socio di Giuseppe Salvatore Riina, figlio di Totò, chiama Micciché al cellulare chiedendogli continua su www.repubblica.it
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