Roma 15 Novembre 2010 CORSERA.IT
Orgia e lussuria del girone dantesco.Il satrapo miliardario,così descritto da Ernesto Galli della Loggia,Silvio Berlusconi si dimena nel diritambo orgiastico nelle sue camere da letto,dei suoi mille castelli.Sesso,avidità e potere,sono questi gli ingredienti di una miscela funesta:un veleno che il suo Essere gli distilla giorno per giorno e a cui gli oppositori,i nemici,aggiungono quantità sempre....
.....più micidiali di veleno.Silvio Berlusconi il Satrapo miliardario è in guerra per una Camera,quella del Parlamento,dove si giocherà nelle prossime ore il futuro del suo Governo,quello dei Bondi,delle Prestigiacomo e delle Carfagna.La sua creatura ideale,costruita intorno alle sue persone di fiducia.
La vita dell'ultimo Governo Berlusconi ha il sapore ruvido e incandescente del tradimento,del parossismo delinquenziale della politica,delle bande di criminali che si fronteggiano,contando i numeri,quartiere per quartiere,città per città,regione per regione.Orgia selvaggia.In queste ore Berlusconi e Fini si contendono i deputati e i senatori fino all'ultimo sangue.Dopo la finanziaria,il Presidente del Consiglio SIlvio Berlusconi ha annunciato che si voterà la fiducia al Governo.Ma Sarà Giorgio Napolitano a decidere,dopo il voto di fiducia e qualora manchi la maggioranza,se sciogliere uno o entrambi i rami del Parlamento.
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In trincea. Riparandosi dietro lo scudo del silenzio senza replicare alle pressioni e «lasciando parlare» gli altri, perché «non è il Quirinale che può svolgere considerazioni sulla possibile composizione di un conflitto interno alla maggioranza». Napolitano si limita a ricordare, come ha fatto per tutta l'estate, la Costituzione. In particolare, quell'articolo 88 nel quale si stabilisce che, nel caso di caduta del governo, «il presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse». È questo l'atteggiamento dello staff del capo dello Stato davanti a chi chiede un giudizio sugli sviluppi della crisi e sull'ultimatum lanciato da Berlusconi: «O la fiducia o elezioni solo per la Camera».
La risposta è laconica ma precisa: «Ogni decisione relativa a quell'articolo è di esclusiva competenza del capo dello Stato, che intende esercitarla rigorosamente». Il che significa che le perentorie ipotesi disegnate dal premier sull'annunciato dopo-sfiducia di Montecitorio (mentre a Palazzo Madama spera di cavarsela) sono considerate improprie, in quanto non di sua competenza. Pretese abusive se si tiene conto che, una volta sanzionata la crisi, a condurre la partita sarà il Colle. Dove si decideranno le sorti della legislatura tenendo conto di ciò che esprimeranno i gruppi parlamentari e di ciò che risulterà utile al Paese.
Dopo il tormentone estivo rinfocolato sulla minaccia «o questo governo o le urne», la variante giocata ieri dal Cavaliere con la proposta di uno scioglimento limitato alla Camera rientra tra gli scenari dell'irrealtà. Lo dimostra l'uscita di scena di Prodi nel 2008: sfiduciato solo dal Senato (mentre aveva il sostegno di Montecitorio), non si sognò di resistere alle dimissioni, e avrebbe innescato un grottesco cortocircuito se avesse fatto il contrario. Per sincerarsene, basta riandare alla storia politico-parlamentare. Gli unici precedenti cui ci si potrebbe riferire si ebbero nel 1953-58 e si riferiscono al Senato, ma furono decretati per pareggiare la durata in vita dei due rami del Parlamento, che i costituenti avevano concepito temporalmente diversa, secondo la formula progressiva (in cui era coinvolto pure il Colle) del "5-6-7". Cioè: 5 anni la Camera, 6 il Senato, 7 il Quirinale.
Fu in questa costruzione un po' barocca che, redigendo l'articolo 88 della Carta, fu scritto che il capo dello Stato poteva «sciogliere le Camere o anche una sola di esse». Era una sorta di valvola di sicurezza tecnica, cancellata dopo le polemiche della famosa domenica delle Palme sulla legge-truffa. Altro aspetto controverso dell'esternazione berlusconiana è il richiamo alla «volontà della gente», nella presunzione che sia sancita dall'attuale legge elettorale con una scelta diretta del premier. Un particolare per il quale è stata a volte evocata la responsabilità (quasi fosse stata un cedimento) dell'allora presidente, Ciampi. Nel ricostruire quel capitolo del «Porcellum», bisognerebbe ricordare che si arrivò al dibattito con una norma concepita prevedendo l'indicazione sulla scheda, accanto al voto
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