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FLI CIURMAGLIA TRATTA LA FIDUCIA.GANFRANCO FINI RICATTO RIUSCITO A SILVIO BERLUSCONI.

Roma 9 Dicembre 2010 CORSERA.IT

Il primo grande ricatto,che dovette subire Silvio Berlusconi,fu ab origine,quello della Lega Nord,che lo schiaffeggiava dalle pagine della La Padania con le inchieste sul Berlusconi Mafioso,capo della Mafia,figlio di un direttore di Banca Rasini impelagato con Toto Riina e Bernardo Provenzano.

Adesso,da qualche mese,Silvio Berlusconi,l'imprenditore,cavaliere di capacità e ingegno,deve fronteggiare un altro ricatto politico,quello della truppaglia del FLI,l'armata Brancaleone riunita intorno al suo gran CHEF Gianfranco FINI,il marito di Elisabetta Tulliani sorella di Giancarlo,gli stregoni dello "scrocco."

Gianni Letta sta trattando con Gianfranco Fini l'armistizio tra i due litiganti.Il ricatto politico del FLI si porta a compimento con successo,Gianfranco Fini....

.....potrà essere soddisfatto,lasciando con un pugno di mosche in mano tutti quei parlamentari che si pregustavano la buona entrata pecuniaria per votare la fiducia a favore di Silvio Berlusconi.Il ricatto politico che ha visto una ciurmaglia alla Brancaleone,sudicia e... ....puzzolente,armarsi di tutto punto,scudi e ferri vecchi,e spingere il bluff della crisi di Governo fino al massimo,con un  protagonista d'eccezione,un mirabolante attore di teatro,una macchietta napoletana:Italo Bocchino.Negli ultimi mesi ha retto il carosello mediatico,proponendosi e descritto come Falco,in realtà è un comico d'avanspettacolo,uno che ha fatto la gavetta con il melodramma negli sperduti quartieri spagnoli di Napoli.Silvio Berlusconi avrebbe anche il prurito di gettare tutto allo sbaraglio,spingere il popolo alle elezioni anticipate,ma si rende conto che queste crisi dilaniano molto più lui che gli altri,perchè è il suo buon nome che regge il Governo e la sua azione agli occhi delgi italiani.E' più Silvio Berlusconi che ne ha da perdere che non i suoi presunti accoliti ex Alleanza Nazionale l'armata dei Brancaleone oggi rappresentati da Roberto Granata.

Sarà dunque pace con Gianfranco Fini,che schiocca lingua e si sfrega le mani insieme alla compagna Elisabetta Tulliani.Gli altri dell'armata Brancaleone spariranno ad uno ad uno nei prossimi mesi,forse negli anni,inghiottiti dal tramestio delle buste d'acqua che gli pioveranno addosso.

La vendetta è un piatto che va servito freddo. 

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COrriere della Sera.Non è solo l'ottimismo della volontà che porta Gianni Letta a essere «molto fiducioso» sulla mediazione con il Fli, per evitare quel voto di fiducia del 14 dicembre che - a suo dire - «va scongiurato». Se il braccio destro del Cavaliere confida in una soluzione a tempo ormai scaduto ci sarà un motivo.

Se per Letta il nodo della vertenza tra Berlusconi e Fini è «sulle garanzie» reciproche, vuol dire che il negoziato si è spinto molto avanti, nonostante i duellanti si mostrino ancora la faccia feroce. E in effetti la bozza d'intesa - di cui è custode il sottosegretario alla presidenza - è già zeppa di appunti: passa da un accordo sulla politica economica, tiene dentro l'approvazione del federalismo fiscale e la riforma del sistema elettorale.

Tutto fatto, dunque? Niente affatto. Perché sull'iter della crisi non c'è intesa. L'ipotesi caldeggiata dal Fli è che il premier presenti in Parlamento il suo programma, recepisca nel corso del dibattito l'apertura dei finiani, e prima del voto di fiducia salga al Colle per dimettersi, in modo che - come diceva ieri Bocchino - «entro 72 ore» riceva il reincarico. Il Cavaliere però non fa mostra di recedere, vuole il voto delle Camere e la «prova di fedeltà» del Fli, «almeno l'astensione», così da passare dopo dal Quirinale e avviare un «rafforzamento del governo». Niente Berlusconi bis, insomma. Al massimo un rimpasto.

D'altronde sulle «garanzie» non c'è convergenza. Letta aveva sondato Fini in tal senso, perché - in caso di dimissioni - ci fosse già una rete di protezione, un documento sottoscritto da i due (ex) alleati che garantisse il percorso della crisi. Ma il presidente della Camera ancora ieri sera resisteva: «La precondizione è che Silvio si dimetta. Per il resto, niente documenti, deve giocare a fidarsi. Altrimenti il 14 si vota. E se non ha i numeri, o riesce ad ottenere le elezioni o si va a un nuovo governo». È chiaro che se Fini facesse oggi un passo indietro, darebbe di sé e del suo gruppo l'immagine dei soldati iracheni che ai tempi di Desert Storm si arrendevano alle troupe televisive. Ed è altrettanto chiaro che nemmeno il premier ci pensava (e ci pensa) a consegnarsi.

Tuttavia Letta continua a essere «fiducioso», e chissà se il suo ottimismo si fonda sulle vistose crepe che appaiono nel Fli, nelle parole pronunciate dal finiano Moffa, secondo cui «non è indispensabile che Berlusconi si dimetta» per dar vita a «un patto che porti l'Italia fuori dalla crisi». Il dirigente futurista da mesi manifesta il suo dissenso interno, al pari di altri sostiene di aver firmato la mozione di sfiducia contro il governo solo come «strumento di pressione negoziale per arrivare a un accordo prima del voto». Ma non è disposto ad andare oltre, non crede all'opzione del terzo polo, e dice apertamente di interpretare «il sentimento di molti» nel gruppo.

Se l'argine del Fli dovesse cedere, se Fini si accertasse in queste ore che non tutti i suoi sono disposti a seguirlo nello show-down con il premier, allora sì che cambierebbe tutto, non solo i numeri alla Camera che il Cavaliere dice già di avere. Muterebbe il quadro politico, obiettivo al quale Berlusconi ha lavorato nelle ultime settimane. «Con l'Udc si è capito che si perde tempo», ha sentenziato due sere fa, dopo che Casini aveva rifiutato un invito a cena organizzata dal capo del governo per il suo compleanno. Il


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