Roma 6.3.2009(Corsera.it)
Chiusi i mercati ma fatto il danno,Moody's prestigiosa società di rating finanziario, salva l'Italia da quel destino che JP Morgan e La Repubblica avevano oggi delineato a tinte fosche.Sbattuta la porta in faccia agli uccellacci del malaugurio,con loro buon riposo per il week-end.A noi hanno fatto fare soltanto buoni affari.
Articolo tratto da Il Sole 24 Ore.La situazione dell'Italia a livello di rischio Paese «è ancora lontana da quanto abbiamo visto negli anni '90 quando il costo del rifinanziamento era molto più alto con un debito anche più elevato che rappresentava veramente un grande rischio». Lo dice a Radiocor Alexander Kockerbeck, analista di Moody's responsabile del rating italiano. Il mercato dei titoli di Stato, e quindi dei Cds (i credit default swaps che coprono il rischio di default), «è molto nervoso e sta esagerando nella direzione opposta» dopo aver «quasi cancellato gli spread» sul debito dei diversi Governi europei «nel periodo antecedente alla crisi».
Questi indicatori di mercato, come gli spread dei titoli di Stato e i Cds e, in generale tutti i rating impliciti di mercato «si muovono - dice Kockerbeck - in modo molto più volatile dei nostri rating. È importante fare questa differenza perchè prima della crisi, nel periodo fra il 2003 e il 2008, questi indicatori erano molto più favorevoli dei nostri rating. Adesso è il contrario perchè il mercato è dominato da una grande avversione al rischio». In questo modo, si tende «a raggruppare tutti i Paesi che non sono benchmark in un gruppo e si esagera».
«Per molto tempo dopo l'avvio dell'euro - continua l'analista - si è ripetuto spesso che i mercati avevano perso la capacità di sanzionare i Governi. In una situazione di grande convergenza, tutti hanno investito sui titoli di Stato soprattutto quando i rendimenti erano un pò più elevati, e gli spread si sono appiattiti». A quel punto, «in qualche caso lo spread non rispecchiava più la diversa qualità del credito» a livello di singolo Paese, ma «ora si sta esagerando nella direzione opposta».
Il nostro rating, afferma Kockerbeck, «non ha e non avrà questo genere di volatilità» perché «cerca di guardare a ciò che succede durante la crisi e a come potrà essere la situazione dopo la crisi. Noi non vogliamo dare un giudizio su una sola conseguenza del ciclo economico, ma sulla situazione nel suo insieme dal punto di vista strutturale e ci sono tanti parametri che entrano in questa valutazione. L'andamento dello spread non ha particolare importanza a questo riguardo».
«È chiaro - continua Kockerbeck - che per diversi Paesi adesso il costo di rifinanziamento del debito è più elevato vista la situazione di mercato, ma non bisogna dimenticare che anche il benchmark su cui si misurano gli spread è molto basso». Il costo finale di questa situazione sul debito pubblico italiano «resta contenuto soprattutto quando si fa un confronto con quanto abbiamo visto negli anni '90, quando i tassi di interesse erano più elevati e il Paese aveva problemi di inflazione e di valuta. Quello che vediamo ora non è ancora drammatico, ma comporta comunque un costo più elevato».
Infine, c'è da osservare, secondo Kockerbeck, che «la vita media del debito pubblico italiano si è allungata per cui l'impatto di questo maggiore costo di rifinanziamento sul costo generale del debito non avviene immediatamente». È anche chiaro che in molti Paesi europei, sottolinea Kockerbeck, «c'è un grande fabbisogno di finanziamento proprio adesso nel 2009 e questo aumenta le tensioni». «Stiamo vedendo - conclude l'analista - condizioni di mercato estremo, tensioni molto forti e, dal punto di vista dei comportamenti, una fortissima avversione al rischio e un'inversione totale di quanto abbiamo visto prima della crisi. La verità starebbe nel mezzo, ma in questa situazione di mercato è difficile trovarla». (Il Sole 24 Ore Radiocor
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