ROMA 16 DICEMBRE 2012 CORSERA.IT
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LA STRANA STORIA DI GIACOMO FRATI IL DR.STRANAMORE,IL GIOVANE FIGLIO DEL RETTORE DELL'UNIVERSITA' LA SAPIENZA,CHE DIVENTA PRIMARIO IN CARDIOCHIRURGIA,SENZA VINCERE IL CONCORSO,BENSI' SUPERANDO QUELLO IN SCIENZE MEDICHE APPLICATE,OVVERO SCIENZE BIOTECNOLOGICHE.UN VULNUS AMMINISTRATIVO DEL NOSTRO SISTEMA,CHE E' BENE EVIDENZIARE AI LETTORI,ANZI AD EVENTUALI PROSSIMI PAZIENTI.
NELLE INCHIESTE DI REPORT E IL CORRIERE DELLA....
SERA C'E' UN VISTOSO VUOTO,COME IL DR.GIACOMO FRATI DIVENTA PRIMARIO DI CARDIOCHIRURGIA SENZA SUPERARNE L'ESAME,MA SUPERANDO QUELLO IN SCIENZE BIOTECNOLOGICHE. E CHE C'AZZECCA,DICIAMO NOI?
IL GIOCO DELLE TRE CARTE CHE SFRUTTA IL REGOLAMENTO LEGITTIMO.CHE DICE IL MINISTRO DELLA SANITA' RENATO BALDUZZI? CHE DICONO I PAZIENTI? CHI OPERA AL CUORE AL POLICLINICO UMBERTO I?
NELL'ARTICOLO DE LA REPUBBLICA NON SI EVINCE CHE IL DR.GIACOMO FRATI HA SUPERATO IL CONCORSO IN SCIENZE BIOTECNOLOGICHE,CHE NON HA NULLA A CHE VEDERE CON IL CONCORSO PER DIVENTARE PRIMARIO IN CARDIOCHIRUGIA.E' QUESTO IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE,IL BY-PASS,OPERATO DALL'INTERNO DEL POLICLINICO UMBERTO I PER CONSENTIRE AL DR.GIACOMO FRATI DI DIVENTARE PRIMARIO DI CARDIOCHIRURGIA,NOMINATO DAL DIRETTORE GENERALE ANTONIO CAPPARELLI,NOMINATO A SUA VOLTA DA LUGI FRATI,RETTORE DELL'UNIVERSITA' LA SAPIENZA.
Do ut des. Dare qualcosa per avere qualcosa. A quanto pare viene gestito così il Policlinico Umberto I, quando si tratta di nomine dirigenziali e ruoli direttivi. Ed è proprio su questo sistema che la procura sta indagando e ha aperto un fascicolo per abuso d'ufficio e falso in atto pubblico. Un esempio concreto? Dietro all'assunzione a metà aprile del professor Giacomo Frati, figlio del rettore della Sapienza Luigi Frati, si nasconderebbe un clamoroso scambio di "cortesie" tra il rettore e l'attuale direttore generale Antonio Capparelli.
Tanto che pur di fare entrare Frati junior al Policlinico, è stata creata da zero una struttura che non esisteva, frammentando un reparto dell'ospedale e affidando alla nuova unità dei posti letto per la degenza. "E non esistono altri professori ordinari di Cardiochirurgia che abbiano diritto a posti letto", scrive in una lettera al vetriolo indirizzata a Capparelli e alla governatrice del Lazio Renata Polverini uno dei capi di quel reparto, lo scorso 19 gennaio.
Così sono andati i fatti. Il 28 gennaio del 2011 il rettore Frati sceglie Capparelli per il ruolo di commissario straordinario del Policlinico. Senza alcun preavviso. Il 22 marzo lo nomina direttore generale. L'avvocato Capparelli ha un volto conosciuto. All'Umberto I lavora da dieci anni, ne è stato il direttore amministrativo. Dopo meno di un mese dalla sua nomina, il 19 aprile, Capparelli (che formalmente è ancora commissario) con una delibera crea ex novo l'Unità Programmatica
"Tecnologie cellularimolecolari applicate alle malattie cardiovascolari" nell'ambito del Dipartimento cuore e grossi vasi. A dirigere la nuova struttura chiama dalla Asl di Latina Giacomo Frati, che in quel momento è professore associato all'unità di cardiochirurgia. Quindi di fatto assume, in un ruolo assimilabile al primario, il figlio di chi lo ha appena nominato direttore.
Il nuovo arrivato non passa inosservato, perché per creargli uno spazio "è stato frammentato il Centro di Cardiochirurgia". A parlare è uno dei capi di quel centro, nella lettera riservata del 19 gennaio, nella quale chiede conto di cosa dovrà fare il nuovo dirigente strutturato Giacomo Frati. Un documento riservato. "Francamente - scrive - mi riesce difficile capire il perché si approfitta di una richiesta di miei chiarimenti per modificare in modo radicale l'organizzazione di questa UOC (unità operativa complessa), rendendo più difficile o impossibile lo svolgimento della sua attività".
Alla base delle sue proteste, c'è una questione di una decina di posti letto della degenza ospedaliera, che gli sarebbero stati tolti proprio per poter creare la struttura di Frati junior. "Non c'era nessuna esigenza di creare quella struttura, è uno spreco", commenta Antonio Sili Scavalli, segretario regionale Fials.
Una manovra complicata e troppo rumorosa, anche questa al vaglio dell'inchiesta contro ignoti aperta dalla procura di Roma dopo quattro esposti di altrettanti medici del Policlinico, depositati l'agosto scorso, nei quali viene denunciata l'esistenza di una casta interna che decide nomine, assunzioni e spese. E di cui la vicenda di Giacomo Frati sembra la riproduzione plastica.
Non è la prima volta che il secondogenito del rettore finisce al centro di polemiche. A fine 2010, pochi giorni prima dell'entrata in vigore delle nuove norme contro il familismo (Ddl Gelmini) nel reclutamento dei docenti universitari, arrivò per il giovane la chiamata come professore ordinario di Medicina alla Sapienza, nella facoltà dove il padre era stato preside e dove lui già era stato docente associato. Fu accusato di essere un raccomandato, nonostante a 36 anni avesse vinto il concorso bandito dalla Sapienza per il settore Scienze mediche applicate, arrivando secondo su venticinque candidati. "La bravura non ha nome e cognome", disse allora papà Frati, già seduto sullo scranno del rettorato. Ma non è la bravura del dottor Giacomo a essere messa in dubbio, in questi giorni, nei corridori del Policlinico.
V i fareste operare al cuore da chi non ha «mai visto la cardiochirurgia» e si è impratichito solo con i manichini? Se la domanda vi sembra demenziale, sappiate che è già successo .
O almeno così dice, in un'intervista stupefacente, il figlio del rettore della Sapienza. Che con una sfolgorante carriera si è ritrovato giovanissimo a fare il professore nella facoltà del papà, della mamma e della sorella.
Che per essere un grandissimo chirurgo si debba avere necessariamente un curriculum scientifico universitario, per carità, non è detto. Ambroise Paré, il fondatore della moderna chirurgia, pare fosse figlio di una peripatetica e cominciò nella scia del padre facendo insieme il chirurgo e il barbiere. E il capo-chirurgo dell'«équipe 2» del primo trapianto di cuore in Sud Africa, nel 1967, al fianco di Christiaan Barnard, pare sia stato Hamilton Naki, che era un autodidatta con la terza media che essendo nero figurava assunto come giardiniere ma aveva le mani d'oro al punto di ricevere, finita l'apartheid, una laurea ad honorem e il riconoscimento di Barnard: «Tecnicamente era meglio di me».
Detto questo, il modo in cui Giacomo Frati si è ritrovato alla guida di un'Unità Programmatica di (teorica) avanguardia al Policlinico di Roma appare sempre più sbalorditivo. Ricordate? Ne parlammo due settimane fa, dopo l'apertura di un'inchiesta giudiziaria. Riassumendo, il giovanotto riesce in una manciata di anni (ricercatore a 28, professore associato a 31, in cattedra a 36) a diventare ordinario nella stessa facoltà di medicina in cui il padre, il potentissimo rettore Luigi, è stato per una vita il preside e ha già piazzato la moglie Luciana Rita Angeletti (laurea in lettere, storia della medicina) e la figlia Paola, laureata in legge e accasata a Medicina Legale.
Un genio tra tanti «sfigati»? Sarà... Ma certo gli ultimi passaggi della vertiginosa carriera di Giacomo sono sconcertanti. Prima l'esame da cardiochirurgo vinto grazie al giudizio di una commissione di due igienisti e tre dentisti: «Giusto? Forse no però questo non è un problema mio...». Poi la chiamata a Latina dove era stata aperta una «succursale» di cardiologia della Sapienza presso la casa di cura Icot. Poi il ritorno a Roma appena in tempo prima che le nuove regole contro il nepotismo della riforma Gelmini impedissero l'agognato ricongiungimento familiare. Poi la creazione su misura per lui, togliendo un po' di letti a un altro reparto, di un'«Unità Programmatica Tecnologie cellulari-molecolari applicate alle malattie cardiovascolari» che gli consente di avere un ruolo equiparato a quello di primario, novità decisa dal direttore generale Antonio Capparelli. Nominato poche settimane prima ai vertici del Policlinico proprio da Luigi Frati, il premuroso papà.
Troppo anche per un ateneo storicamente abituato a una certa dose di nepotismo. Eppure, neanche un verdetto del Tar che dà ragione a quanti avevano presentato un esposto contro gli esiti della «gara» vinta da Giacomo («illogicità del criterio adottato», «irragionevole penalizzazione degli idonei», «danno grave e irreparabile») è riuscito a frenare l'irrefrenabile ascesa del giovanotto. Anzi, il giorno dopo avere perso il ricorso in appello contro quella sentenza, l'università gli ha fatto fare un nuovo passo in avanti.
Né sono riusciti a bagnare l'impermeabile scorza di Luigi Frati (dominus assoluto di un sistema trasversale alla destra e alla sinistra che sta benissimo a molti baroni) alcune contestazioni nel Senato accademico o una miriade di mugugni sul Web. Né poteva infastidirlo, pochi giorni fa, il professor Antonio Sili Scavalli, segretario regionale della Fials e responsabile aziendale dello stesso sindacato, che ha mandato una diffida a Renata Polverini chiedendo come fosse possibile che Giacomo Frati, chiamato al Policlinico per attivare una guardia medica di cardiochirurgia, sia stato quattro mesi dopo promosso e contestualmente abbia chiesto, da primario, di essere esentato dalle noiose guardie notturne.
Ma le domande più fastidiose poste dal sindacato, che preannuncia un esposto alla magistratura, sono altre. È vero che in un anno e mezzo i dati sulla produttività dell'unità di Giacomo Frati «fornirebbero un numero pari a zero»? Ed è vero che in questo periodo il giovine chirurgo ha fatto in tutto 5 interventi «peraltro di cardiochirurgia classica» che dunque non c'entrano niente con la creazione su misura del reparto di «avanguardia»? E soprattutto: qual era la mortalità di quella dependance di cardiochirurgia a Latina dove si era impratichito?
Il punto più delicato è questo. Lo dicono nemici di Frati come il senatore Claudio Fazzone, che mesi fa ironizzò sull'«alta qualità portata a Latina» dal rettore: «Penso si riferisca alla cardiochirurgia che ha effettuato 44 interventi in un anno, di basso profilo, col più alto indice di mortalità del Lazio». Ma lo dice soprattutto un decreto della Regione del 29 settembre 2010. Dove si legge che nonostante a Latina fossero stati fatti «zero» interventi chirurgici «di alta complessità, i risultati all'Icot erano pessimi.
Tanto da spingere la Regione Lazio a chiudere la dependance universitaria, a costo di dover pagare alla casa di cura dove stava un risarcimento milionario: «La disattivazione dei posti letto di cardiochirurgia dell'Icot di Latina è sostenuta da valutazioni relative ai volumi di attività estremamente ridotti e alla bassa performance. Nel 2009, la struttura ha effettuato 44 interventi cardiochirurgici (pari all'1% del totale regionale) ed è ultima nel Lazio per capacità di attrazione, con una percentuale di ricoveri a carico di residenti fuori regione intorno al 2% (valore medio regionale del 9%). L'indice di inappropriatezza d'uso dei posti letto è 3 volte più elevato rispetto alla media regionale».
Quanto «bassa» fosse la performance, lo dice una tabella riservata del «PReValE», il Programma regionale di valutazione degli esiti, recuperata da Sabrina Giannini, di «Report». Tabella dove, alla voce «Bypass aorto-coronarico» per il 2008-2009 sulla mortalità nei primi 30 giorni dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico, risulta che non ce la fece il 2,25% degli operati (su 356) al Gemelli, lo 0,46% (su 656) al San Camillo-Forlanini, il 2,67% (su 225) all'Umberto I, il 3,01 (su 632) all'European hospital e via così. Risultato finale: una media di mortalità, per quanto queste statistiche vadano prese con le pinze, intorno al 2,5%.
Bene: in un servizio per «Reportime» di Milena Gabanelli, servizio da questa mattina su Corriere.it , Sabrina Giannini mostra quella tabella a Giacomo Frati: come mai all'Icot c'era una mortalità del 6% e cioè più che doppia? Il giovane «astro nascente» della famiglia del rettore sbanda. E si avvita in una risposta strabiliante: «Cioè, la cardiochirurgia qui è partita da zero. Faccio presente che quando noi abbiamo iniziato tutto il personale, anche infermieristico, era un personale che non aveva mai visto la cardiochirurgia. Abbiamo fatto simulazione in sala anche con i manichini. Anche per il posizionamento dei devices della circolazione extracorporea».
Fateci capire: «tutto il personale» (tutto, compresi dunque i chirurghi) era così a digiuno di cardiochirurgia che prima di operare dei pazienti si era addestrato coi manichini? Che storia è questa? Si sono impratichiti via via sui malati che avevano affidato loro la vita? Per difendere quel reparto, mentre la Regione decideva (troppi reparti) di rinunciare ad aprire nuove cardiochirurgie a Viterbo, Frosinone e Rieti, Luigi Frati disse in un'intervista a «La Provincia»: «Mi chiedo perché mai uno di Latina non abbia il diritto di farsi operare nella sua città». Ma da chi, signor rettore? A che prezzo? In quale altro paese del mondo, dopo tutto ciò che è emerso, potrebbe restare ancora imbullonato al suo posto?
Queste le parole con cui Giacomo Frati si difende dalle evidenze di mortalità nei primi 30 giorni dell’anno 2008-2009 dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico, riportate su una tabella del PreValE (Programma regionale di valutazione degli esiti) in un servizio per “Reportime” da Sabrina Giannini sotto la voce “Bypass aorto-coronarico”.
Mentre nello stesso arco temporale il 2,25 percento degli operati al Gemelli (su 356), lo 0,46 percento al San Camillo-Forlanini (su 656), il 2,67 percento all’Umberto I (su 225) e così via, per arrivare a una media statistica vicina al 2,5 percento; all’Icot di Latina, dove operava il giovane Frati la mortalità è stata più che doppia, attestandosi intorno al 6 percento.
Il giovane cardiochirurgo, come noto, è figlio d’arte. Anzi, di più – vive in una famiglia di “artisti”: padre, mamma e sorella tutti professori universitari, e per di più nella stessa facoltà dell’Università di cui il primo è Rettore.
L’Espresso già nel gennaio 2007 denunciava le numerose coincidenze: Paola Frati, laureata in legge, diventa professore ordinario di Medicina Legale alla Seconda facoltà (dove non insegna il padre). Luciana Rita Angeletti, moglie del Rettore Frati, fa una carriera altrettanto stupefacente: si trasforma da professoressa di lettere in una scuola superiore alla fine degli anni ’80, in professiore ordinario di Storia della Medicina nel 1995. Anche il fratello, Pietro Ubaldo Angeletti, morto negli anni ’90, insegnava Patologia a Perugia, la stessa facoltà dove Frati iniziò la sua ascesa in ambito accademico.
In questa cornice si inserisce il percorso di Giacomo Frati, che nella sua ascesa ha bruciato tutti gli step professionali possibili per trovarsi professore ordinario alla guida di un’Unità Programmatica di avanguardia al Policlinico di Roma all’età di 36 anni – già a 28 ricercatore e a 31 professore associato. Il tutto, nella stessa facoltà in cui il padre, Luigi, è stato per lungo tempo preside.
Gli ultimi passaggi della carriera del giovane Frati hanno dell’incredibile: prima l’esame da cardiochirurgo superato di fronte a una commissione composta da 2 igienisti e 3 dentisti; poi la chiamata a Latina dove era stata aperta una sede staccata di cardiologia della Sapienza presso la casa di cura Icot. Di seguito, il ritorno a Roma per un ricongiungimento familiare, nel momento che gli permettesse di evitare le imminenti norme contro il nepotismo della riforma Gelmini.
Infine, la creazione su misura, da parte del direttore generare Antonio Capparelli – nominato ail vertici del Policlinico poche settimane prima da Frati padre – di un’“Unità Programmatica Tecnologie cellulari-molecolari applicate alle malattie cardiovascolari” che gli conferisce un ruolo equiparato a quello di un primario.
Neanchè un verdetto del Tar che dà ragione a quanti avevano presentato un esposto contro gli esiti della gara vinta da Giacomo e altre 23 persone è riuscito a frenare l’ascesa del giovane professore ordinario. Non sono bastate frasi quali “illogicità del criterio adottato”, “irragionevole penalizzazione degli idonei”, “danno grave e irreparabile”: il giorno dopo la sconfitta al ricorso in appello, l’Università capitolina gli ha fatto fare un ulteriore passo in avanti, come riportato da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera.
Lungi da me voler sindacare sulla necessità impellente per il nostro paese in termini di progresso e innovazione di svecchiare il mondo accademico – e tante altre realtà professionali – per puntare sulle competenze e la voglia di fare delle giovani generazioni, adeguatamente formate. Tuttavia, ciò non può e non deve passare per la rinuncia alla trasparenza nella valutazione di queste competenze in quanto, a lungo termine, tale attitudine produce risultati disastrosi per il sistema professionale a cui afferisce e la società in senso più ampio.
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