Il Fatto Quotidiano by Peter Gomez . Pubblichiamo ritenendo di grande interesse nazionale.
Quella frase l’ha ripetuta sei volte. In radio, in tv e sui giornali. Ed era unafrase bella. Semplice. Rivoluzionaria. Era uno schiaffo in faccia alla vecchia politica. Era un concetto altruista e generoso.
Oggi, però, sappiamo che era fasullo. Matteo Renzi non lascia la testa del Partito democratico. “Se perdo troveranno un altro premier e un altro segretario”, aveva scandito davanti alle telecamere di Virus. “Se non passa il referendum la mia carriera politica finisce. Vado a fare altro”, aveva garantito a Radio Capital.
“Io non sono come gli altri”, aveva giurato alMessaggero. “Torno a fare il libero cittadino”, aveva confermato a un Bruno Vespa troppo navigato per non essere perplesso.
Così, mentre nel nome di Renzi l’Italia prova a darsi un nuovo governo, sui taccuini dei cronisti resta solo quel crescendo rossiniano di promesse e spacconate destinato a segnare per sempre la sua carriera e le nostre vite.
Eppure, anche noi ci avevamo sperato. Dopo aver raccontato a una a una le contraddizioni di un presidente del Consiglio nato rottamatore e adesso destinato a morire restauratore, Renzi ci era piaciuto quando aveva affrontato a viso aperto la sconfitta. Il suo bel discorso d’addio a Palazzo Chigi di domenica 4 dicembre ci era sembrato il trampolino per un possibile riscatto. Quando avevamo letto i retroscena del giorno dopo, conditi da frasi che raccontavano i suoi dubbi e la sua voglia di lasciare, ci eravamo detti: “Dai, per una volta sorprendi tutti, prenditi davvero un anno sabbatico. Parti! Vai in giro! Scopri quell’Italia che non hai voluto e saputo vedere”. Pensavamo, o meglio ci illudevamo, che il molto sangue democristiano che scorre nelle vene dell’uomo di Rignano potesse portarlo a rileggere la storia di Amintore Fanfani, il Rieccolo di montanelliana memoria.
Comments (0)