Milano 7 marzo 2020 CorSera.it di Alan Parker
Siamo nel futuro del 2020 e il mondo intero sta fronteggiando il contagio pandemico del Coronavirus. Ciò che la civiltà ha costruito fino ad oggi, rischia di essere cancellato per sempre e l'umanità di scivolare indietro nel passato, in uno scenario che ricorda l'anno zero di Odissea 2001 nello spazio. Un film che è già alle nostre spalle, fa parte di un passato preistorico post bellico, quello atomico, che il virus del pipistrello ha già soverchiato, lasciando attonito l'intero pianeta, perforando con la velocità della luce, città e comuni d'Italia, che fino a ieri sonnecchiavano nella bruma mattutina e nella nebbia del giorno dopo. La civiltà umana è chiamata a rispondere ad un nemico micidiale, che avanza velocissimo, invisibile, lasciando dietro di sè soltanto morti e distruzione, prosciuga dall'interno di un polmone, l'esistenza delle persone, costringendole in un ospedale, o confinate dentro casa, nelle città trasformate in lager. Immense, infinite prigioni, in cui il superfluo viene abbandonato una volta per sempre e non conta più niente. Siamo la civiltà del pianeta, risucchiata dentro un incubo,la sceneggiatura di un film apocalittico, dove i perimetri e i confini dell'esistenza sono vigilati dall'esercito, persone in tuta bianca, volti coperti dalle mascherine. Dentro le zone rosse, vivono gli zombie, gli esseri umani colpiti dal virus, schiacciati dall'infamia di essere gli untori di questa malattia sinistra, cittadini infetti, come tali destinati ad essere rinchiusi , nascosti a non potersi più vedere . La civiltà avanza velocemente, ma qualcosa ci ha superato in destrezza, cattiveria, cinismo. Quando ci prende, ci avvinghia e si inocula dentro di noi, ci sbatte a testa in giù sul lettino di un ospedale e ci costrinige a rantolare, faticare soltanto per strappare un ultimo respiro alla vita. Chiunque di noi muoia, a ventanni o ad ottantanni, è un essere umano che la violenza del virus ha strappato alla vita, in una guerra silenziosa, in cui al di là delle pareti delle nostre case, non si percepiscono i rumori dei cannoni e delle bombe, ma un umido silenzio fatto di angoscia, di paura, di speranza di sopravvivere ad un domani, in cui ancora una volta, potremo rivedere il sole che illumina i campi di grano, quelli che abbiamo dimenticato di coltivare con le mani e dentro la nostra mente. ( CorSera.it )
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